Quei due o tutti noi? Una questione di sguardi

Leggendo “Quei due. Un’ossessione organizzativa” di Giuseppe Varchetta

E’ un privilegio raro poter dialogare con l’autore di un romanzo, soprattutto se ha lo spessore e la storia di Giuseppe Varchetta.  Ho avuto questa fortuna mentre stavo completando questa recensione, che beneficia di qualche elemento di comprensione ulteriore, che mi deriva da questo incontro.

Uno dei cavalli di battaglia dei formatori continua ad essere il “caso aziendale”: si basa sull’idea che l’apprendimento può avvenire anche in modo induttivo, ovvero dando significato ad una situazione particolare e affinando la “mappa” generale che consente di trasferire questa sensibilità ad altre situazioni. Anche quando i casi affrontano situazioni organizzative e relazionali complesse, sono spesso “poveri”: non solo appaiono volutamente stilizzati per motivi di brevità. C’è qualcosa di più in questa asetticità: la persona viene circoscritta quasi sempre al suo ruolo. 

Tra i molti modi di considerare il recentissimo romanzo di Giuseppe Varchetta, uscito quest’anno per Guerini Next, vorrei  argomentare innanzitutto l’impressione che il suo lavoro sia anche un ricco e articolato “caso aziendale sentimentale”.  Ovviamente non ha i vincoli di durata di un “caso didattico” (cosa che non impedisce di utilizzare questa lettura a monte di possibili – e potenzialmente intelligenti – attività formative manageriali), ma non solo per questo sviluppa una visione realmente “stereoscopica” della vita dei manager e dell’organizzazione.  La vita entra con forza nella storia dei due manager protagonisti di questa vicenda, ed è la vita intesa innanzitutto in termini biografici. Nel loro agire organizzativo c’è la storia delle loro famiglie, con il copione esistenziale che sembrano aver loro consegnato e che ciascuno dei due tenta di interpretare in modo (faticosamente e il più possibile) libero. E c’è la storia di un Paese che negli anni in cui si colloca la vicenda ha offerto “binari formativi” e condizioni socioeconomiche di sfondo che intersecheranno le vite e i destini dei due “belligeranti”. 

La dimensione “sentimentale” che innerva questa storia è molto di più: non è solo euristica, nel senso che attraverso i vissuti profondi e antichi dei protagonisti è possibile leggere il significato del loro agire, ma è costitutiva del pensiero dell’autore. La dimensione intima e pubblica, la sfera della persona e del ruolo sono utilmente distinguibili ma non separabili se si vuole comprendere la vita delle donne e degli uomini al lavoro nelle organizzazioni.  Se si vuole appunto com-prenderla e prendersene cura, a partire da attenzioni relazionali e dispositivi organizzativi sistematicamente improntati all’ascolto. 

Un altro elemento di grande interesse del romanzo riguarda la prospettiva dal quale è raccontato: il narratore è sentimentalmente implicato, con intensità, nella storia. Perché mentre si sviluppava il conflitto (asimmetrico) tra “quei due”, ovvero il manager del Marketing e quello delle Vendite, il narratore si occupava di sviluppo organizzativo e pur non avendo il presidio delle Risorse umane nella specifica impresa del gruppo, ha avuto la possibilità di intessere dialoghi con ciascuno dei due. Lascio al piacere della lettura la comprensione della portata di questa dimensione “triangolare”, anche rispetto all’evoluzione del racconto. Nei molteplici sguardi sulla complessità organizzativa che ci offre l’autore è rilevante anche la lettura di quello che apparentemente è lo “sfondo” sociale della vicenda, ovvero l’intera popolazione organizzativa. Varchetta sembra rinviare ad una coralità silenziosa: la gente è edotta dello scontro decennale e pur non essendo protagonista della vicenda, alimenta la dinamica dell’aggressività secondo modalità carsiche che meritano un’attenta riflessione.

Un aspetto importante, infine, che differenzia il testo da molta della fiction (anche sui temi della vita organizzativa) è quello che mi appare come una voluta “spigolosità” del racconto, contrapposta alla rassicurante “rotondità” di altri testi nei quali le vicende dei protagonisti si ri-solvono, all’interno della trama. Siamo qui di fronte ad un testo “insaturo”, che come avviene per i composti chimici, ha il pregio di poter agganciare atomi di significato ulteriori, in quel gioco intrigante di specchi e di proiezioni che si sviluppa in questi casi tra lettore e scrittore. 



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