L’apprendimento organizzativo e la competitività: il manager e la Learning organization*
Il concetto di economia della conoscenza è entrato in modo così ampio nel senso comune del management da dare l’impressione, come spesso accade con le parole “inflazionate”, che se ne sia perso il significato profondo.
Il costrutto di apprendimento organizzativo diventa interessante in questa prospettiva: la competizione tra imprese (e sempre più tra filiere ed ecosistemi) avviene sulla base della conoscenza. Ma quale conoscenza? Non solo quella che sta nella testa delle persone che vivono l’organizzazione (componente centrale del capitale umano), ma anche in quella contenuta, in termini “statici” ad esempio nei prodotti, nei brevetti, nei database e in termini dinamici, negli infiniti processi che un’organizzazione esprime (componenti fondamentali del capitale organizzativo).
Per chi a vario titolo si occupa di formazione, sul versante della domanda, ad esempio nelle imprese manifatturiere o dal lato dell’offerta (società di formazione e professionisti) il focus sull’apprendimento delle persone è più immediato, chiaro e leggibile rispetto al focus sull’organizzazione che apprende. Nel primo caso ci sono singoli collaboratori oppure team da formare. Ci sono contenuti e processi formativi che alimentano le conoscenze ed il “saper fare” di singoli e gruppi.
Si registra negli ultimi tempi un impegno crescente, in una complicità virtuosa tra formatori, committenti e partecipanti, per accompagnare i collaboratori nell’ultimo miglio tra la conclusione dell’esperienza formativa e i comportamenti quotidiani che dovrebbero beneficiare di quanto appreso. In altri casi, l’efficacia della formazione è alimentata costantemente quando si crea un processo formativo che integra un’oscillazione tra concetti teorici e loro applicazione nelle prassi. Questo genera più o meno consapevolmente un’abilitazione di cambiamenti stabili nei modi di agire di persone, gruppi e unità organizzative.
Ma che cosa significa che un’organizzazione apprende? Tra i tantissimi modelli teorici sul tema, rischiando di essere troppo tranchant, si può dire che gli elementi comuni siano proprio la “stabilizzazione” e la “cristallizzazione” (temporanea, in tempi di mondo liquido) della conoscenza nelle routine organizzative, ad esempio nei modi concreti di sviluppare prodotti, fare manifattura o vendere. Qualcosa quindi di molto più ampio e “sistemico” della conoscenza che “hanno in testa” i singoli collaboratori. Le persone sono in ogni caso incluse in molti di questi modelli come elementi fondamentali: lo spiegano bene Cook e Brown (1999) riferendosi alla “danza generativa” tra lo “stock” di conoscenza organizzativa appena citata e il “conoscere” organizzativo, percorso che passa per i comportamenti delle persone che incarnano le routine attraverso l’azione e l’interazione tra loro (e con le tecnologie).
Ma se assumiamo quindi che la competitività delle aziende nell’economia della conoscenza si fonda sulla loro capacità di apprendere, quali fattori sono in grado di aumentare questa capacità?
Ho avuto la fortuna di poterne parlare con Livio Beghini, un manager che sette anni fa ha scoperto la forza del concetto di Learning organization e l’ha messo concretamente “in azione” in Datwyler Pharma Packaging Italy, azienda di cui oggi è Member Board Of Directors.
Innanzitutto, l’approccio che più ha ispirato il manager è quello di Peter Senge che nel suo The Fifth Discipline. The Art and Practice of the Learning Organization elenca i cinque pilastri che sostengono la learning organization: i modelli mentali, la visione condivisa, la padronanza personale, l’apprendimento del team e il pensiero sistemico. Tra questi, il più importante sembra essere la visione condivisa, che Beghini spiega con una metafora “vettoriale”: è come avere inizialmente un tubo con una serie di frecce tutte disorientate, che progressivamente si orientano dalla stessa parte. Chimico di formazione, potremmo dire che il manager ha speso molte energie come Amministratore delegato nel lavoro di “fertilizzare il terreno organizzativo” in questa direzione, considerando che una volta chiarite le direzioni strategiche che danno l’orientamento, l’organizzazione può mettere in moto dei sistemi di autoapprendimento. In questa prospettiva, è d’accordo con il mio stimolo sull’idea che le persone contribuiscono efficacemente all’apprendimento dell’organizzazione se si ingaggiano come esploratori del nuovo, sperimentatori, lettori “riflessivi” di incongruenze, anomalie e altre opportunità di cambiamento.
Questo coinvolgimento non è scontato: lavorare sulla costruzione di una visione condivisa e sullo sviluppo di modelli mentali (mappe funzionali per leggere il territorio aziendale l’arena competitiva in cui agisce l’azienda) è stato un impegno costante nato da un vissuto personale: “fino a vent’anni fa, quando ero un tecnico dello sviluppo prodotto, sentivo il bisogno di capire da che parte si va”.
Non è un caso la creazione, con il contributo di Niuko Innovation and Knowledge, di una Corporate Academy, al servizio non solo dell’obiettivo di alimentare la visione condivisa, ma anche dello sviluppo del pensiero sistemico, che rappresenta un antidoto alla gestione “per silos” e al micro-management, ovvero alla tentazione di un ritorno a quel “piccolo mondo antico” che ogni azienda si impegna a superare. L’Academy è stata attivata soprattutto per costruire e codificare apprendimento organizzativo: “raffigurare e “scolpire” le cose e creare pietre miliari nel processo. Anche se le persone si avvicendano nei ruoli, gli elementi “stabili” sono percorsi che ti impediscono di regredire, milestones che fanno dire “sono arrivato qui e non torno indietro”.
Si tratta di un patrimonio che viene messo a disposizione in modo strutturato sia ai “nuovi arrivati” contribuendo alla qualità dell’onboarding, oggetto, sia ad altre fasce di popolazione organizzativa, in una logica di diffusione della conoscenza che può essere “irradiata” oltre la persona o l’unità organizzativa che l’hanno prodotta: “Lo sviluppo del sistema non può contare sui corridori in fuga. Da soli si va più veloci, ma insieme si va più lontano”.
*Pubblicato sul periodico Industria Vicentina il 26 marzo 2024