La “leadership for impact” negli ecosistemi dell’innovazione

Leggendo “Imprenditori trasformazionali e management di movimento – Imprese leader nell’età dell’incertezza” di Salvatore Garbellano (Franco Angeli, 2024)

Salvatore Garbellano, “cartografo” d’impresa rigoroso e documentatissimo, aggiunge con questo suo ultimo lavoro un layer molto interessante per la lettura della competitività delle aziende. Il suo è un viaggio nelle medie imprese italiane alla ricerca dei fattori che hanno contribuito non solo a “cavarsela” nelle tempeste degli ultimi anni, ma ad uscirne trasformate (in meglio). Vivendo, sperimentando, agendo con agilità processi di cambiamento e innovazione a partire dal modo di osservare le cose al di là del “visibile”. Nella consapevolezza che l’azione (rapida!) nei confronti dei clienti e del contesto competitivo non solo fa accadere le cose, ma come un radar estende in avanti lo sguardo dell’impresa.  L’azione guidata da un pensiero sistemico genera feedback, che si ottengono dai clienti e del mercato, e questi segnali possono essere la base per attribuire senso, direzione e focalizzazione alla nuova rotta. Il digitale d’altra parte è un alleato importante dell’agilità: siamo in tempi di prototipazione rapida, di simulazioni, di rendering, di minimum viable product che consentono di passare più rapidamente dall’ideazione al feedback.

Il titolo rende conto di una complementarità importante, che viene argomentata con numerosi esempi, tra l’imprenditore in grado di ideare e compiere questa operazione di trasformazione e il management in grado di contribuire a fondare le intuizioni sui numeri, ma anche di arricchirle attraverso punti di vista autonomi, di implementarle e di chiudere il cerchio degli apprendimenti attraverso le opportune metriche.

Mi permetto di descrivere gli stimoli che ho trovato soggettivamente più pregiati in questo lavoro, letti attraverso un angolo visuale parziale. Collaborando con un ecosistema come il competence center SMACT, trovo particolarmente interessante e innovativo il contributo di Garbellano rispetto ai processi di open innovation che descrive proprio in riferimento alla capacità delle imprese di interloquire con mondi esterni per generare innovazione sostanziale. L’innovazione più interessante descritta da Garbellano non è solo quella che si sviluppa lungo le solite value chain (con il compito di arricchire il contributo dei singoli attori al valore del sistema prodotto/servizio), ma è quella che ridefinisce la geometria dell’ecosistema nella generazione del valore o che persino costruisce nuovi ecosistemi attorno a business model inediti.  I numerosi e documentati esempi parlano della componente digitale come premessa per l’abilitazione in senso strutturale e profondo delle nuove formule competitive.

Per le medie imprese (ma sempre di più anche per le grandi) i processi di innovazione si sviluppano con efficacia e velocità solo se i confini dell’impresa si fanno porosi e il management diventa complice della visione imprenditoriale nel generare esplorazioni e regie autorevoli di progetti di innovazione sviluppati con porzioni dell’ecosistema.

Più i confini dell’impresa si fanno permeabili (in senso bidirezionale!), più è necessaria una capacità di assorbimento del know-how che viene generato, ovvero la possibilità concreta che i nuovi modelli concettuali sviluppati nei progetti  congiunti entrino nelle routine della progettazione, dell’industrializzazione della produzione della media impresa “committente”. Cambia anche la natura stessa della committenza, che nel caso delle innovazioni più interessanti diventa un’autentica partnership, in quel passaggio descritto citando Pontremoli (Dallara) come uno shift dall’egosistema all’ecosistema. Garbellano rende anche conto, con racconti di situazioni concrete, di nuovi ruoli manageriali che iniziano a vedersi nelle medie imprese più innovative del panorama imprenditoriale anche del nord est, così come delle premesse organizzative che consentono l’assorbimento dell’innovazione passando per nuovi processi di leadership e di coinvolgimento, soprattutto nella gestione di team di ricerca e sviluppo inter-organizzativi.  Nuove alchimie quindi (laddove funzionano) nelle quali, mi pare di poter arguire, si allarga il territorio della fiducia e il purpose diventa proprietà emergente dell’ecosistema.

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