Il leader, la sciabola e il purpose
Ascoltando Luca Solari su “Purpose e leadership ibrida”
L’incontro Niuko che ha visto Luca Solari dialogare con Martina Gianecchini sul libro “Purpose e leadership ibrida” (scritto con Paolo Iacci per Franco Angeli, 2022) promosso da AIDP Veneto-FVG e dalla Società di formazione di Confindustria Vicenza, ha affrontato in modo interessante temi importanti per la vita delle imprese e mi suggerisce qualche riflessione ulteriore.
Innanzitutto Solari offre una definizione della leadership, che coincide con la scelta di doverci essere in certi momenti in cui contesto e situazioni richiedono di non lasciare andare le cose. Definizione che si tiene lontana da precondizioni di tipo gerarchico (si può essere leader anche senza che lo pre-scriva l’organigramma) ma anche dalla retorica del “self management” (una buona leadership si esplica sullo sfondo di un’intelaiatura organizzativa presente e sufficientemente chiara).
Sembra essere una definizione più attenta alle funzioni della leadership in una specifica situazione, più che agli stili di cui spesso si parla: “non è una proiezione di sè, ma certe volte una negazione di sè: a prescindere dal mio stile e dalla mia indole, certe volte faccio quello che è funzionale…”. L’abbinamento di questa descrizione allo sguardo di Bion sulle dinamiche di gruppo sembra quindi rafforzare un’idea di leader che ricorda un po’ lo sciabolatore, figura cara a Martina Gianecchini. Lo schermidore efficace è caratterizzato infatti da una capacità di concentrazione elevatissima che genera un fulmineo adattamento in termini di previsione, di azione e di risposta. Questa capacità di essere nel momento è tipica anche del leader “situazionale”: tutte le energie le sa mettere nella relazione con la persona che ha davanti. Aggiungo un collegamento con un paradigma che non è evocato da Solari, ma che rinvia al concetto di presenza nel qui ed ora citato dall’ampia letteratura sulla Mindfulness applicata al mondo manageriale e organizzativo. Un leader che c’è, quindi, al di là dell’attribuzione formale e gerarchica: interessante l’esempio di un giovane che prende una posizione forte e netta in un team composto trasversalmente in termini gerarchici e generazionali: questa è leadership.
Un secondo passaggio importante, percorso grazie agli interessanti stimoli di Martina Gianecchini, riguarda il supporto della funzione HR all’evoluzione delle leadership. L’invito di Solari è di spostare il focus dell’ascolto e dell’attenzione nei vari gemba (ovvero nei luoghi dove le cose accadono e dove si produce valore secondo il linguaggio lean giapponese, in primis nelle Operations) attraverso una presenza altrettanto diretta intensa e costante: “serve più etnografia dentro i gruppi”. Una netta esortazione a sviluppare ulteriormente la capacità di lettura dei processi operativi, manifatturieri, tecnologici, per comprendere meglio le cornici di significato e i “grattacapi” degli attori che si muovono in questi contesti. Mantenendo la giusta distanza dalle dimensioni più “astratte” dell’armamentario di strumenti HR, che rischiano di apparire l’unica zona di comfort di una famiglia professionale che sta (mi pare) allenando sempre di più la capacità di “presa diretta” sulla realtà complessiva dell’organizzazione. In un piccolo contributo sulla qualità dell’ascolto della funzione HR avevo scritto in questo senso di impresa empatica in un periodo in cui attraction e retention sono temi importanti che possono enfatizzare la generazione di valore di questa funzione organizzativa.
Ultimo tema, il purpose: trend topic dal 2014, quando le Big della consulenza iniziano a lucidare a nuovo questa parola (antica nella letteratura organizzativa) come una lampada di Aladino, relegando in soffitta la consunta Mission.
Solari descrive in modo articolato la natura di questo “driver” e indica un’alternativa all’approccio “top-down” nella definizione del purpose. A partire dal significato: “Se usiamo la metafora del viaggio assieme, nel purpose convivono il piano che definisce la meta iniziale, le modalità con le quali si viaggia, ciò che nel viaggio si incontra, i vissuti assieme durante il viaggio e le scelte che spostano la meta o la durata del viaggio” (fonte: Solari, L. Alla ricerca del purpose: il senso delle organizzazioni tra aspettative degli stakeholder, macro-trend e implicazioni sul business. Background paper per il Workshop di HerAcademy del 7 novembre 2019 a Bologna).
Per quanto riguarda l’alternativa al purpose “calato dall’alto”, Solari non può che indicare un approccio al basato sulla sua “costruzione collettiva”, dato il suo modo di considerarlo come fondato sull’identità degli individui e su processi di sensemaking. Si tratta di un assunto profondo e di grande interesse, che mi piace immaginare come un gioco di specchi tra collaboratore e organizzazione. Gioco che nei casi migliori fa sentire (e affermare) all’individuo che “si riconosce” nell’organizzazione in cui lavora e la considera un’estensione della propria identità, che contribuisce a dare senso alla sua azione e alla sua vita professionale. In termini più colloquiali “quando un pezzo di quello che fai insieme diventa significativo per tutti e rafforza l’importanza di stare assieme”.
E in questa prospettiva “Se gli individui mettono il proprio sé al centro della definizione del purpose e del senso delle proprie azioni, ne deriva che l’organizzazione non può negare questo sé ma deve al contrario fare di questo stretto legame fra identità dell’individuo e senso dell’organizzazione una ricchezza” (ibidem). Che ruolo assume il leader efficace in questa cornice? La muscolarità cede il passo ad un’autorevolezza nuova. Che non passa più per la metafora del direttore d’orchestra, in tempi in cui non c’è neppure più lo spartito, né sono univoci gli abbinamenti tra orchestrali e strumenti. Autorevolezza che è forse riconducibile alla capacità di contribuire a costruire e porgere il telaio nel quale tutti gli attori organizzativi (e gli stakeholders) costruiscono, in modo anche divergente e conflittuale, trama e ordito di un tessuto conversazionale colorato e dinamico che dà senso all’azione quotidiana e alle prospettive di ciascuno. Con la fatica e il divertimento di far interagire dei “quasi ossimori” tipici della complessità come l’orientamento ai numeri e alla relazione o le ragioni del profitto con quelle della sostenibilità. Il purpose, dal mio punto di vista, sembra stare proprio all’interno di questo terreno, in cui un ingrediente fondamentale per divergenze che non siano “distruttive” ma in grado invece di produrre innovazione è la cura costante del processo di riconoscimento reciproco. Ingrediente per leader che sanno esserci.