Il Carbonio e i neuroni: le forme della conoscenza che incontra l’innovazione*


“Il sistema periodico” di Primo Levi è considerato a livello internazionale uno dei testi fondamentali di divulgazione scientifica. Ogni capitolo tratta in termini narrativi un elemento chimico: c’è spazio per le storie, anche personali che hanno visto l’intersezione tra la vita del chimico Levi e queste sostanze. L’ultimo capitolo, il Carbonio, racconta le avventure e le trasformazioni di un singolo atomo. Staccato da una roccia calcarea nel 1840 “sopravvive” alla combustione della fornace che produce calce diventando anidride carbonica e negli anni, combinandosi con altri elementi si trasforma continuamente, facendosi “mattone” costitutivo di una foglia, del vino, di un tronco d’albero, fino ad arrivare come nutriente sanguigno al cervello dell’autore.
La conoscenza, in relazione all’innovazione si può vedere in termini metaforici come l’atomo di carbonio e come le sue vicissitudini in termini di trasformazione. Quali forme e quali “stati” assume la conoscenza che dalla ricerca di base arriva a generare ricchezza e benessere attraverso l’immissione di prodotti e servizi sul mercato?
il visiting tour promosso da Niuko che mercoledì 16 ottobre ha accompagnato le imprese al Kilometro Rosso di Bergamo (che ospita anche il Consorzio Intellimech) e poi, nel pomeriggio, nella sede dell’azienda Cosberg di Terno d’Isola, sempre nel Bergamasco, si è rivelato un’occasione per ascoltare storie di innovazione che hanno intercettato forme e fasi diverse nella gestione della conoscenza. L’innovation district di Bergamo rappresenta un luogo dove si incontrano e con-vivono gli attori che producono la conoscenza (in particolare un pezzo del mondo universitario) con le realtà imprenditoriali che la utilizzano. Si potrebbe dire, con una sintesi brutale, che il Kilometro Rosso fa incontrare il mondo che utilizza il denaro “trasformandolo” in conoscenza con il mondo di chi in termini imprenditoriali trasforma questa conoscenza in redditività.
Le cose in realtà sono più complesse, proprio in riferimento alla parola “trasformazione”: è in corso una riflessione che ridiscute il concetto di trasferimento tecnologico. La conoscenza “codificata” ad esempio in un articolo scientifico (cristallizzata, potremmo dire, nel linguaggio della chimica) ha bisogno di essere “combinata” con altri elementi per entrare in modo fluido nei processi di sviluppo tecnologico e di innovazione. In questo senso il sociologo Massimiano Bucchi parla di “trasformazione produttiva della conoscenza”.
Servono in questa direzione dei linguaggi-ponte, servono dialoghi che possono essere utilmente alimentati dalla continguità fisica tra attori diversi (qualcuno ha definito questa contaminazione “Cafeteria effect”), servono servizi di “connettività cognitiva” che aiuti, con metodo, a rendere “pensabili” e quindi realizzabili i collegamenti tra sfide di prodotto e di mercato (che la scienza può non intravvedere) con soluzioni e conoscenze (che l’impresa può non ri-conoscere per la mancanza di lenti adeguate).
L’incontro con il Consorzio Intellimech, realtà privata finalizzata alla promozione della ricerca nell’ambito della meccatronica ha fornito un esempio virtuoso di realtà che, pur senza alcuna regia o finanziamento del settore pubblico, hanno saputo superare barriere culturali accettando la sfida di condividere la conoscenza e i frutti della ricerca, non solo per creare economie di scala, ma anche a partire dalla convinzione che il lavoro comune fra tecnici e sviluppatori di aziende diverse rappresenti una straordinaria occasione di innovazione.
Cosberg, descritta con la voce del suo fondatore Gianluigi Viscardi rappresenta un caso interessante anche dal punto di vista della gestione della conoscenza. Una PMI contro-intuitiva. Produce macchine per l’assemblaggio di prodotti finiti e ogni pezzo è unico. Che cosa c’è (apparentemente!) di più sartoriale e di meno “standardizzabile” dal punto di vista dello sviluppo prodotto? Ma Viscardi è consapevole che il valore delle PMI sta spesso (in una proporzione troppo ampia) nella testa dell’imprenditore-innovatore: “qualche anno fa, se un investitore avesse valutato in termini patrimoniali la mia impresa il valore sarebbe stato di 10 con me alla guida e di 1 senza di me”. Lo sforzo pervicace di questi anni è stato in un lavoro incessante di “codifica” della conoscenza. Non ci sono infiniti problemi di assemblaggio, come per un sarto non ci sono infinite corporature: le esigenze del cliente sono state “inventariate” in modo sistematico, mentre i problemi risolti alimentano un database di soluzioni. Il risultato è un approccio modulare alla realizzazione degli impianti. Fare un’offerta, progettare una macchina, assemblarla e metterla in funzione diventano attività che si possono svolgere in modo rapido e metodico. La conoscenza diventa problem solving veloce al servizio del cliente. Non serve “inventare da zero”, in questo modello organizzativo (l’innovazione “discontinua” c’è, ma viene coltivata al di fuori di questo processo, pur nutrendosene). Al punto che le commesse possono “passare di mano” tra progettisti senza particolari costi di coordinamento. La conoscenza di metodo “in azione” è un pezzo del sistema di gestione del rischio dell’impresa. Con buona pace di chi considera la conoscenza un elemento “astratto” (solo perché l’atomo di carbonio non è visibile!).

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